La leggenda dei tèrmeni

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C'era una volta…
(tutte le leggende che si rispettino cominciano così, non è vero?)  
…dicevamo: c'era una volta un pastore, che ogni giorno pascolava il suo gregge di pecore negli aridi terreni che possedeva. Quest'uomo era roso dall'invidia nei confronti di un suo confinante: infatti, mentre le ossute bestiole magiavano la povera vegetazione disponibile, l'erbetta più tenera si trovava nel prato del vicino, appena oltre il tèrmen (letteralmente il termine, ossia la stele confinaria che delimitava la proprietà).
I termeni sono tuttora usati per marcare i confini dei terreni, soprattutto nel caso di boschi: si tratta di grosse pietre appuntite, ma talvolta anche di travi, tondini da cemento armato verniciati, vecchi pezzi di paracarro…

Per poter portare il bestiame nei pascoli migliori, il pastore decise pertanto di imbrogliare: si recò nottetempo al confine e trasferì il termine alcune decine di passi a monte. Eliminò poi ogni traccia dal luogo ove si trovava la pietra e fece le cose con tale cura che nessuno avrebbe potuto immaginare che quella fosse stata spostata.

Alla morte dell'uomo, molti anni dopo, Dio lo obbligò a rimettere a posto i confini. Il pastore fu perciò rimandato sulla terra per rimettere il termine nel punto esatto in cui si trovava.
Il fantasma dell'uomo ritornò quindi al campo, prese il pietrone sulle spalle e si mise alla ricerca della posizione originaria del confine; ma, per quanto esplorasse, non fu in grado di ritrovare il luogo.

Da allora, lo spettro vaga senza pace in lungo e in largo per la Val di Cembra, alla perenne ricerca del luogo dove posare il suo fardello.
Si narra che, passeggiando la notte in luoghi isolati, si possa sentire in lontananza la voce dell'uomo: «Él pesa, él pesa!», cioè “pesa, pesa!”, riferendosi al pietrone…

E si dice che, sentito il lamento, un vecchio contadino di Quaràs abbia pure deriso il povero spettro: «Mòlelo giò!» (“mollalo giù”).

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© 2004, Fabio Vassallo