In questo primo articolo affronto quello che qui è sentito come un problema di importanza capitale, e che nel resto del mondo è ignorato completamente: con che nome riferirsi al territorio della Provincia Autonoma di Bolzano.
Le persone di lingua italiana di norma lo chiamano Alto Adige, mentre quelle di lingua tedesca usano sempre il termine Südtirol.
Alto Adige è il nome adottato dall'irredentista roveretano Ettore Tolomei, ancor prima dell'avvento del fascismo in Italia: questa scelta, al posto del più naturale Sudtirolo, fu fatta probabilmente a causa del fatto che parte del territorio storico del Tirolo è al di là del Brennero. Per la medesima ragione, durante il fascismo si adottò lo stesso termine (per testi in tedesco il toponimo veniva tradotto letteralmente: Ober Etsch).
L'uso del nome Tirolo e dei suoi derivati fu proibito; persino diverse società commerciali dovettero per questo cambiar nome!
Alto Adige è in realtà la traduzione della denominazione del dipartimento Haut-Adige, costituito nel XIX secolo durante il governo napoleonico (l'area comprendeva però anche il Trentino).
Il Tirolo (tedesco: Tirol) prende invece il nome da un paesino presso Merano, da dove provenivano i conti che hanno retto la regione per secoli e dove tuttora si trova l'avito Castel Tirolo (tedesco: Schloss Tirol): la provincia di Bolzano costituisce la parte meridionale del territorio tirolese.
Da queste parti il termine Sudtirolo è sentito come tedesco: in realtà non si capisce perché!? Il nome Tirolo ha infatti un'origine preromana, ed inoltre ha subito una germanizzazione abbastanza tarda: infatti per esso non è avvenuta la seconda rotazione consonantica dell'alto tedesco[2]. A conferma di ciò si veda il toponimo latino Teriolis, nel quale c'è stato il cambio fonetico T Z: il nome moderno è Zirl (cittadina presso Innsbruck)[3][4].
Tra l'altro, durante tutta la storia precedente all'annessione della zona da parte dell'Italia, i ladini utilizzavano il nome Tirol (tuttora dicono Sudtirol oppure Südtirol) ed anche i trentini chiamavano il loro territorio Tirolo.
Oltre a non essere il termine storico con cui le popolazioni romanze si riferivano al luogo, né tantomeno quello adottato dagli antichi Romani, che piuttosto usavano il nome Rætia (Rezia), il toponimo Alto Adige è anche scarsamente descrittivo: la provincia di Bolzano, infatti, non è solo Adige ma anche Isarco (e la val d'Isarco ha grande importanza nell'assetto territoriale; la stessa Bolzano è bagnata dall'Isarco e non dall'Adige).
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Nell'orgia bilinguistica tipica di questa zona spesso si parla di Alto Adige/Südtirol, ma io piuttosto uso Sudtirolo (parola che ben difficilmente un italiano nato in provincia si sognerebbe di utilizzare) e vedo come sinonimi Alto Adige e Sudtirolo, preferendo decisamente il secondo termine.
Nei giornali locali, invece, si contrappongono gli altoatesini (di lingua italiana) ai sudtirolesi (di lingua germanica).
Peccato! Dire Sudtirolo è certo molto meglio che usare a sproposito la traduzione di un toponimo napoleonico!
Negli ultimi anni diversi autori hanno iniziato ad usare Sudtirolo in libri in lingua italiana (a questo link ho messo alcuni di essi, ma basta fare una ricerca su aNobii per trovarne molti altri).
Significativamente, gli autori sono per lo più sudtirolesi di lingua germanica o austriaci; l'unico scrittore di madrelingua italiana, credo, è Riccardo Dello Sbarba; ma lui è un toscano di Volterra.
Di recente m'è stato detto che Sudtirolo sarebbe una parola che "suona male" a causa del gruppo -dt-, estraneo alla fonetica della lingua italiana.
Strano: io sono madrelingua italiano, fiero della mia nazionalità e del mio idioma, che credo di conoscere ed apprezzare, e nonostante ciò il toponimo non ha suscitato in me senzazioni di fastidio!?
È vero che il nesso consonantico -dt- non fa parte dell'italiano, ma è altresì vero che un italofono (inconsciamente) pronuncia il nome /suttirolo/, adattandolo ai suoni propri della lingua.
Del resto in italiano ci sono diversi casi in cui avviene questo fenomeno di assimiliazione fra consonanti; per esempio "con me" viene scritto con la N, ma è effettivamente pronunciato /kommé/. Lo stesso dicasi per tanti toponimi che iniziano con San, ad esempio San Martino e San Piero, che sono in effetti pronunciati come se fossero scritti Sammartino e Sampiero.
Credo proprio che si tratti di un appunto fazioso, dettato da motivi estranei alla linguistica.
Vista l'importanza della pubblicità nel mondo moderno, a mio avviso uno dei più importanti tentativi di sdoganare la parola Tirolo è stato compiuto dai nanetti testimonial dei prodotti della Loacker: «Veniamo giù dai monti, dai monti del Tirolo. Cantiamo tutti in coro: Loacker che bontà».
In effetti la sede dell'azienda si trova ad Auna di Sotto, sul Renon (altopiano che sovrasta la città di Bolzano).
In seguito, purtroppo, il testo del jingle è stato "censurato", eliminando l'aborrito toponimo: «Veniamo giù dai monti, dai boschi e prati in fiore ».
Pubblicità Loacker, Tyrol free
Da notare che nelle confezioni dei wafer Loacker, nonché nella maggior parte degli spot, viene mostrata la linea del massiccio dello
Sciliar: uno dei profili montuosi più evidenti dall'area di Bolzano e dintorni, e del quale si può ammirare uno splendido panorama proprio dall'altopiano del Renon.
Francisco Villar, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa. Lingua e storia, Il Mulino, Bologna, 1997, ISBN: 88-15-05708-0 - pag. 440
Giovan Battista Pellegrini, Toponomastica italiana. 10 000 nomi di cittą, paesi, frazioni, regioni, contrade, fiumi, monti spiegati nella loro origine e storia, Ulrico Hoepli Editore S.p.A., Milano, 1990, ISBN: 88-203-1835-0 - pag. 414
Renzo Ambrogio et al. (a cura di), Nomi d'Italia. Origine e significato dei nomi geografici di tutti i comuni, Istituto geografico de Agostini, Novara, 2004, ISBN: 88-511-0701-7 - pag. 646
Quest'immagine è tratta da pagina 40 di Alto Adige. Il paesaggio fortificato. Castelli e residenze, di Flavio Conti et al., Giunti, Prato, 2004, ISBN: 88-09-04006-6
Ritornando a Tolomei, questi fin dai primi anni del secolo iniziò a lavorare al fine di "restituire" una toponomastica italiana al Sudtirolo; nel 1916 pubblicò il Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige, suscitando un vespaio di polemiche che a tutt'oggi perdura con inalterata intensità.
Sulla stampa locale c'è una continua e snervante polemica, ed una delle espressioni più usate da parte tedescofona è "invenzioni di Tolomei", intendendo con ciò che le sue versioni non hanno alcuna validità.
Per la mia sensibilità, l'operazione di Tolomei è stata brutale e priva di senso, soprattutto per il fatto di aver ignorato le popolazioni tedescofone; a leggere alcune frasi dell'introduzione al prontuario, poi, si nota un aspro nazionalismo: «poderi o masi [ ] subirono i nomi stranieri dei possessori», «Carte e libercoli tedeschi si facevano a soppiantare i bei nomi italiani», «eravamo di fronte a un esotismo barbaro e irriducibile. Non potevamo accoglierlo. Eravamo in dovere di sostituirlo».
Se le premesse erano tutt'altro che condivisibili, il lavoro di traduzione, a differenza di ciò che si pensa, è stato fatto con grande accuratezza: i toponimi definitivi sono quelli della terza edizione del prontuario, del 1935, riveduta in un lavoro durato anni ad opera di una commissione toponomastica di esperti, presieduta da Tolomei stesso.
Le volte in cui parlando di toponomastica sudtirolese mi era stato fatto presente che una certa traduzione era grossolana (che era un'invenzione di Tolomei, per l'appunto), andando a controllare ho trovato invece che il nome scelto della commissione era sensato.
Giusto per fare un esempio cito Kastelruth, la cui versione italiana ufficiale è Castelrotto: molti ritengono che questa sia una cattiva traduzione (una raffazzonata resa del suono, senza riferimento al significato storico del nome). In realtà esistono documenti medioevali che mostrano come il toponimo nel X secolo fosse Castellorupto, col significato proprio di castello diroccato[1].
Ancor prima della grande guerra, in Tirolo c'erano nomi con una consolidata versione italiana (per esempio Bolzano, Isarco); negli altri casi i criteri utilizzati per convertire in italiano i toponimi sudtirolesi sono stati sostanzialmente quattro[2]:
Ove possibile, una traduzione letterale (per esempio Lago Verde per Grüner See)[3]
Adattamento del nome tedesco alla fonetica italiana (per esempio, seguendo i regolari cambi fonetici dal tedesco all'italiano, da Lengstein si ottiene Longostagno), talvolta prendendo la versione ladina del toponimo (per esempio Funés per Villnöss)
Recupero di nomi latini da documentazione antica o medioevale (per esempio Vipiteno per Sterzing, Cortina per Kurtinig)
Creazioni ex novo, di solito in base a criteri geografici (per esempio Colle Isarco, per Gossensass, Rio di Pusteria per Mühlbach)
In diversi casi osservo affinità con la dizione locale tedesca: per esempio Mölten da queste parti è pronunciato Melt'n, ed il correspettivo italiano è Meltina.
Klobenstein/Collalbo, sull'altopiano del Renon
Gli unici casi a me noti di traduzioni criticabili sono quelle di Deutschnofen e Welschnofen.
Nofen è la tedeschizzazione del latino nova: quello che in italiano si chiama novale, ovvero un terreno bonificato (che costituisce quindi un campo coltivabile nuovo).
In questo caso traduzioni non dettate da ideologismi potevano essere
Novale Tedesco e Novale Italiano (oppure Nova Tedesca e Nova Italiana). In effetti in ladino fassano i due paesi si chiamano Nova Todeschia e Nova Taliana, ed in documenti in volgare del XIV secolo si trovano Nova Teutonica e Nova Latina[4]: evidentemente la bonifica delle due zone era stata fatta, rispettivamente, da genti tedesche e ladine.
Ma per Ettore Tolomei non ci poteva essere nulla di tedesco in Alto Adige! La traduzioni scelte furono pertanto Nova Ponente e Nova Levante (del resto corrette dal punto di vista geografico)[2][4].
Comprendo lo stato d'animo dei tedeschi, che vedono questi come nomi artificiali, quasi di plastica, ma siccome i toponimi italiani sono stati ufficializzati ormai da quasi un secolo, mi aspetterei che si abbandonasse l'astio (da ambo le parti) e si affrontasse pragmaticamente la questione.
Per ragioni pratiche, per esempio, mi pare ovvio che toponimi di sentieri e rifugi che compaiono in cartine escursionistiche debbano essere conservati (ma non tutti la pensano così).
E magari, si dovrebbe evitare la proliferazione di varianti nella cartellonistica dei sentieri; il caso più eloquente riguarda il rifugio Fronza, ai piedi del massiccio del Rosengarten, che compare nelle indicazioni turistiche con non meno di quattro diverse denominazioni (due italiane e due tedesche):
In conclusione, una piccola sciocchezza: sul giornale Alto Adige, per dare "colore" agli articoli di polemica politica sulla toponomastica, viene solitamente stampata una foto che rappresenta alcuni cartelli: quasi sempre una foto diversa. Talvolta si tratta un sentiero, ed accanto ai segnali c'è spesso un turista; in questo caso di solito i soggetti sono vestiti uno peggio dell'altro: improbabili magliette, terrificanti pantaloncini!
Questo, forse, denota la pessima preparazione dell'escursionista medio in Sudtirolo.
Egon Kühebacher, Die Ortsnamen Südtirols und ihre Geschichte [Band 2]. Die geschichtlich gewachsenen Namen der Täler, Flüsse, Bäche und Seen, Athesia, Bozen, 1995, ISBN: 88-7014-827-0 - pag. 121