Il testo originario della Canta dei mesi

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Non si sa di preciso quando fu composto il testo originario della “Canta” (probabilmente nella seconda metà del secolo XVIII), né chi ne fu l'autore.
A differenza della versione del Gottardi, usata ai giorni nostri per la rappresentazione, questa è più naïf e forse un po' grezza, ma viva e ricca di suggestioni. Si notano inoltre maggiori influssi della parlata trentina.


Gennaio: Io, che son gennaio vecchio,
che mi piace stare al fuoco
con una pinta di vin vecchio
ed una giovinetta appresso,
io che son gennaio vecchio.



Febbraio: Mi, che son febbraio bello,
quel che sposa le novizze
vòi pagarmi di un caprizze
con sto bravo manganello
mi, che son febbraio bello.



Marzo: Io, che son marzo dai venti,
mi ò comprato una pelliccia
perché 'l vent no offenda i denti
mi, che son marzo dai venti.




Aprile: Mi, che son l'april polito,
quel che fa fiorir la terra
salatina e erba bella
d'ogni albero fiorito,
mi, che son l'april polito.



Maggio: Io, che son maggio dai fiori,
quel che porta la ghirlanda
fiori 'n testa e d'ogni banda
'n mazzettin de miliodori
mi, che son maggio dai fiori.



Giugno: Mi, che son giugno che taia
il frumento e la segala,
di frumento e di segala
n'ò taià 'na bela ara
mi, che son giugno che taia.



Luio: Mi, che son luio che batte
il frumento e la segala,
tutti i giorni a star su l'ara
a star sol devento matto
mi, che son luio che batte.



Agosto: Mi, che son agost che pesca,
alla pesca io sono stato,
ò pescà 'n luz e na tenca
e la sarà molto fresca,
mi, che son agost che pesca.



Settembre: Mi, che son settembre bono,
quel che va a raccoglier frutti
peri, pomi ed altri frutti
quei che ven dal teren bono
mi, che son settembre bono.



Ottobre: Mi, che son ottobre straco,
alla caccia sono stato,
d'un bel lepre ò pigliato
e me l'ò cosinato
mi, che son ottobre straco.



Novembre: Mi, che son novembre mese,
ò stendù 'na bela rete
per pigliar degli uccelli
lugherini e fadanelli,
per pigliar degli uccelli.



Dicembre: Mi, che son dicembre duro,
quel che va a tagliar le legne
ò taià fin all'oscuro
mi, che son dicembre duro.







A questo punto, prima che la combriccola si spostasse in un altro luogo per ripetere la “Canta”, l'Arlecchino recitava una ballata:

La ballata dell'Arlecchino

Le erbe e le piere le gà la sò virtù
Così ò sentito a dir da un certo Padidù,
E se voi no se persuaso
Adess ve digo mi 'n bel caso
che m'è suzes a mi
sarà zinquanta dì.
Passando per 'na piazza
Così sportolorando
Così come ve digo
Passando sora un figo,
Vòi dir sora 'na scorza
Con tutta la me forza,
Fago 'na pirla n pressa
Me gato a svoltolon.
Il sangue sorte fòra
Da naso, bocca e denti
a séce e a torenti,
E ne vegniria ancora
Se mi col me coragio
Da piciol uomo sagio
M no m'avessa 'n pressa
Prest presto medicà
Bevendo quel Portento:
Duemila cinquecento
Gocciole di rosolio
Formato col zerfoglio;
E Poi dal Menego senza dotrina
Che 'l stava sotto lí a Porta Molina
Sempre correndo son capità
Sotto alla porta dove che 'l sta
E 'nformaiandolo de sto caso
El m'ha dito: Bravo Truffaldin
Ti te sei 'n'òmo de mi po fin.



Nota: ho preso i testi della “Canta” dal capitolo X di Cembra nel suo folklore.

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© 2005, Fabio Vassallo