Él picèna

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La leggenda del picèna è stata ispirata da un lato dalla vetustà del castello di Segonzano e da un foro nelle antiche mura dell'edificio (il cosiddetto Bus del picena) e dall'altro dalla latente intolleranza religiosa diffusa nei tempi antichi e dalla predilezione dei fantasmi da parte delle leggende cembrane.

Tutto cominciò quando le guardie che presidiavano il ponte di Cantilaga, presso il castello, videro un omino gobbo che scendeva a dorso di mulo dalla sponda destra dell'Avisio percorrendo il sentiero della Corvaia: fermarono il piccolo uomo e provarono ad interrogarlo, ma da questi ottennero solo suoni a loro incomprensibili.

Lo bloccarono quindi, pur col timore di trovarsi di fronte ad una creatura diabolica. La stessa gobba era vista anticamente come un segno divino dato ai malvagi; un proverbio trentino recita infatti: “Dai segnadi da Dio tre’ paśi endrio” , ovvero dai segnati da Dio (con una deformità) bisogna restare distanti almeno tre passi. Un atteggiamento che ora non sarebbe di certo sentito molto corretto politicamente…
Lo condussero al cospetto del Conte (o comunque al Signore del castello: in verità il possesso del maniero è passato nei secoli a varî baroni, vescovi e conti, e questa storia è ambientata in un'epoca imprecisata). Il Conte, che fortunatamente era una persona abbastanza acculturata, comprese che quella parlata dallo sconosciuto non era la lingua dell'inferno, bensì un dialetto tedesco: l'uomo era infatti un sarto svizzero. Decise quindi di tenerlo alle sue dipendenze.

Il sarto, che a causa della sua bassa statura era soprannominato, per l'appunto, él picèna (ossia il piccoletto), fu quindi costretto dal perfido Conte a vivere nel Bus del picena (o, secondo un'altra versione, in un'umida grotta), impegnato a cucire lussuosi vestiti per le dame del castello.
Come se ciò non bastasse, il fatto che l'uomo, che era di religione luterana, non frequentasse le Sante Messe era causa di continui attriti con la Contessa.

Unico svago era per lui camminare nei dintorni del vetusto maniero, arrampicandosi sugli alberi di fichi per coglierne i frutti di cui, a quanto pare, era ghiottissimo.
Un brutto giorno il picena, durante una di queste escursioni, cadde da un albero riportando gravissime ferite. La Contessa fece chiamare allora un prete per cercare di salvargli l'anima almeno in articulo mortis.

Ma il sarto svizzero, alla vista del sacerdote, si mise a gridare: «Via quel mostro! Via quel mostro!» (o, secondo un'altra versione, pronunciò un'immonda bestemmia), per poi esalare l'ultimo respiro.

Da allora, nelle notti di luna piena, lo spettro del picena vaga senza pace, aggirandosi soprattutto negli anfratti più bui del castello e trovando temporaneo riposo all'interno del “buco”.

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Nota relativa al nome del ponte di Cantilaga

La tradizione cembrana ha interpretato il toponimo in base a una curiosa etimologia popolare: Cantilaga significherebbe lascia i canti, smetti di cantare; in alcune varianti di cembrano, infatti, il verbo lagàr vuol dire lasciare.
Questo in quanto ai viandanti che attraversavano il ponte, spesso ubriachi, sarebbe stato vietato cantare per non disturbare i Signori del vicino Castello di Segonzano.

Secondo un'ulteriore credenza, sarebbe stato nuovamente possibile cantare e parlare a voce alta non appena giunti al vicino paese di Parlo, che a causa di ciò avrebbe preso il suo nome.

Purtroppo la vera etimologia è meno pittoresca, come risulta dalle seguenti citazioni (il grassetto è mio):

« […] Questo è il ponte di «Cantilága»; la parola, nell'antico linguaggio ladino, significava «passaggio sull'acqua», mentre la tradizione locale l'ha interpretata come invito a lasciare i canti per non indisporre le guardie e disturbare i Signori del Castello poco discosto. […]
»
[Parcheggia e Cammina pag. 64]

« […] Il prof. Ausserer jun., parlando del Ponte di Cantilaga, lo spiega con «laga i canti», che vorrebbe dire «smetti di cantare» per non disturbare i conti del castello di Segonzano. È una povera spiegazione popolare raccolta. Meglio sarà pensare a un composto di àga, antica forma di acqua. »
[Guido Sette - Toponimi pag. 66]

« Parlo (párlo) […] anno 1686: la villetta del Parlo [Lorenzi].
Toponimo oscuro. Secondo il Lorenzi si tratterebbe di un soprannome. Torna nel Bresciano, per il quale si pensa o a un cognome o a una corruzione del dial. pèrlo ‘pero cervino’ […]
»
[Toponomastica trentina pag. 283]

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© 2004, Fabio Vassallo