Se una persona vive nel Tirolo del sud e legge la stampa locale acquisisce familiarità con una terminologia peculiare, di cui la politica sudtirolese fa largo uso. Una delle espressioni più comuni è "relitti fascisti", riferita alle (poche) strutture architettoniche del ventennio: la definizione viene spesso estesa a qualsiasi cosa contenga riferimenti a quel periodo, anche tombini o piastrelle da pavimentazione! [1]
Il più noto fra i relitti è il monumento alla Vittoria (tedesco: Siegesdenkmal), dell'architetto Piacentini, innalzato dal regime nel 1928 a completamento di piazza della Vittoria, a Bolzano. Si tratta di un arco di trionfo dalle colonne a forma di fascio littorio, con un'iscrizione in latino che recita:
HIC PATRIAE FINES SISTE SIGNA
HINC CETEROS EXCOLVIMVS LINGVA LEGIBVS ARTIBVS
ossia
«Qui sono i confini della patria; pianta le insegne.
Da qui educammo gli altri con la lingua, le leggi, le arti».
Visto il contesto storico in cui il monumento fu eretto, intendere la scritta riferita ai sudtirolesi tedescofoni non pare una forzatura: si dice che "gli altri" (ceteros) erano barbari, neppure in grado di parlare una lingua degna di questo nome. Dato che il fascismo tentò di sradicare l'uso del tedesco in Sudtirolo, l'interpretazione può stare in piedi.
Per questo, in molti vorrebbero che l'epigrafe fosse cancellata, o che addirittura il monumento fosse abbattuto o spostato. Devo dire che non sono molto d'accordo con tale impostazione, in quanto si tratta di una costruzione storica, che anzi dovrebbe restare proprio per ricordarci ciò che è stato e che non dovrebbe avvenire più; la parola tedesca per monumento (Denkmal) mi piace poiché deriva dalla stessa radice di denken, ossia pensare, ed a questo i monumenti dovrebbero servire.
Un'altra formula spesso letta sui giornali sudtirolesi, questa proprio relativa all'arco di Piacentini, è "depotenziare" il monumento, ovvero effettuare interventi volti a rendere il relitto fascista meno offensivo verso i germanofoni; una delle idee, per esempio, suggeriva che nella cripta sottostante fosse allestito un piccolo museo, per spiegare il contesto in cui è nata l'opera (ma non se n'è ancora fatto nulla).
Al fine del depotenziamento, all'imbocco della piazza, sui due lati, sono state sistemate delle targhe metalliche (piccoline, in verità) in quattro lingue (inglese, ladino, tedesco ed italiano): in esse si fa presente il carattere storico dell'arco ed il fatto che la città di Bolzano persegue il rispetto reciproco fra le varie componenti etniche, promuovendo «la cultura della pace e della fratellanza».
Un altro tentativo di depotenziamento risale al 2002 (anni prima che io venissi ad abitare in Sudtirolo). Questa volta si trattava del piazzale: il consiglio comunale ed il Sindaco di Bolzano Salghetti vollero mutare il nome da piazza della Vittoria (Siegesplatz) a piazza della Pace (Friedensplatz): trovo che questa fosse un'idea saggia ed un appellativo molto appropriato!
A seguito di questa iniziativa, però, la destra politica italiana indisse un referendum per annullare la modifica: la pressochè totalità dei germanofoni votò a favore del cambio, mentre una percentuale (ahimè) molto alta di italofoni si espresse contro, decretando quindi il ritorno alla vecchia denominazione.
Quindi il nome piazza della Pace durò poche settimane (con gran "gaudio" di chi lì aveva un'attività commerciale e dovette cambiare indirizzo legale e carta intestata, per poi essere costretto a rifar tutto all'inverso).
In occasione di quella consultazione gli italiani non palesarono certo grande sensibilità: secondo me persero un'ottima occasione per dimostrare apertura nei confronti del gruppo linguistico tedesco, rinunciando al mito fondante della Vittoria contro l'Austria che per la conquista del Sudtirolo, del resto, è un po' debole (alla fine della prima guerra mondiale l'esercito austro-ungarico sconfitto firmò a Padova l'armistizio, dopo di che i soldati del Regno d'Italia poterono risalire fino al Brennero senza colpo ferire)[3].
Stranamente noto che il mio Tom Tom riporta sia il vecchio che il nuovo nome, in punti differenti della piazza: tentativo estremo della macchina di salvare l'appellativo Pace?
In chiusura cito Dello Sbarba, il quale ritiene che gli italofoni si sono così fermamente opposti al depotenziamento poiché si trattava di «una decisione calata dall'alto. Un errore [ ] in cui la classe politica locale cade un po' troppo spesso»[4].
E ancora: «All'interno di [ ] logiche, nelle quali ciò che conta sono i rapporti di forza che fanno oscillare il «pendolo etnico» da una parte o dall'altra, è difficile che un gesto di riconciliazione sia avvertito come tale. È più probabile che venga visto come un cedimento»[4].
Giulio M. Facchetti, L'enigma svelato della lingua etrusca. La chiave per penetrare nei segreti di una civiltà avvolta per secoli nel mistero, Newton & Compton editori, Roma, 2000, ISBN: 88-8289-458-4 - pag. 74